Botti e barriques

L’uso del legno per la produzione, conservazione ed il trasporto del vino è certamente molto antico.

Erodoto scrive che i Babilonesi,costruivano i vasi vinari in legno di palma, diverse testimonianze attestano l’utilizzo di botti da parte dei greci. Con i Romani si cominciarono a preferire le anfore in terracotta, più pratiche per il trasporto e meno sensibili alle condizioni ambientali. Bisogna dunque aspettare i Galli Allobrogi perche la BOTTE IN LEGNO A DOGHE faccia la sua comparsa: usata dapprima per il trasporto, se ne scoprirono successivamente le virtù in fase di affinamento e maturazione, cosicchè a partire dall’età di mezzo , il legno regno incontrastato, fino all’avvento , nel Settecento, delle vasche in muratura. Solo con il nostro secolo compaiono i serbatoi in ferro (smaltati o vetrificati)  e poi le vasche in vetroresina e poi in inox.

Negli ultimi decenni, con il rilancio della viticoltura di qualità, il legno ha ripreso il suo posto in cantina, forte delle sue proprietà uniche, insostituibili nel processo di maturazione del vino. Le azioni del legno sul vino sono molteplici: facilita la precipitazione delle sostanze colloidali; cede una parte dei suoi costituenti, influenzando in modo sensibile le caratteristiche organolettiche del vino;ne favorisce una lenta e graduale microssigenazione. Insomma tra contenitore e contenuto si instaurano numerose interazioni che determinano modifiche su entrambi. Gli scambi recipiente-vino sono influenzati da diversi fattori: il rapporto superficie/volume ( più la botte è grande minore è il contatto con il vino con conseguente attenuazione degli scambi); le caratteristiche del vino contenuto ( vini più o meno acidi o alcolici) e di quelle del legno (porosità, tipo di taglio delle doghe, tostatura,tipo di legno); il tempo di permanenza; la temperatura, e l’umidità dell’ambiente.

Oggi si parla soprattutto di barrique. Questo contenitore di origine francese, è da qualche anno oggetto di dispute senza fine fra produttori, critici e consumatori. Fermi restando  i gusti e le preferenze di ciasuno, la barrique va considerata per quello che realmente è: uno strumento da utilizzare con i vini adatti, conoscendone caratteristiche e funzioni. Intanto occorre precisare che di barriques ne esistono di vari tipi: cambiano la forma, la capacità e il nome. Quella più diffusa anche in Italia è la barrique bordolese, da 225 litri di capacità, doghe tagliate a spacco ( non segate ) dello spessore di 18-27 mlm; c’è poi la piéce di Borgogna,leggermente più grande e paciuta, contiene 228 litri e ha le doghe un po’ più spesse. Ci sono poi anche le barrique del Cognac, da 300 a 350 litri, cella Champagne, circa 200 litri, del Maconnais, 212 litri; in tutto sono circa una trentina.

Tale varietà di spiega con il fatto che originariamente questo tipo di botti era utilizzato per il trasporto e serviva anche come unità di misura, ogni zona di produzione aveva la sua. Con il tempo la barrique incominciò ad essere utilizzata in cantina, ci si rese conto che le sue piccole dimensioni esaltavano ed acceleravano i processi di interazione legno/vino, permettendo di ottenere in tempi più brevi vini rotondi ed eleganti. Si è poi scoperto che utilizzando botti nuove o seminuove, il passaggio di sapori ed aromi dal legno al vino si faceva ancora più marcato, è il caso del caratteristico boisé che è il tratto distintivo dei vini sottoposti a questa tecnica di maturazione.

Tale carattere può essere più o meno accentuato in funzione di diversi fattori: il tipo di legno e la sua tostatura,  la struttura del vino, la percentuale di barriques più o meno  nuove,il tempo di contatto vino/legno. E’ qui che entrano in gioco il gusto del produttore e la sua abilità di dosare i diversi elementi,per arrivare a quella che , secondo Giacomo Tachis, uno degli enologi più abili a servirsi di questo strumento, è la miglior barrique,” quella che evolve perfettamente il vino senza lasciargli palesemente la sua impronta legnosa”.

Come si è detto le barriques sono di solito fabbricate in rovere, un legno piuttosto “forte” e dunque più ricco di lignina che di cellulosa. Da quello di Slavonia o del Baltico – quest’ultimo molto utilizzato a Bordeaux ancora a inizio secolo – oggi si è passati soprattutto a quello francese, ricavato da piante cresciute nei Vosges, nel Massiccio Centrale (Allier, Nevers, Tronçais), nel Limousin, ma negli Stati Uniti si fabbricano barriques con rovere autoctono ed ottimo si è rivelato il legno austriaco. A seconda della regione di provenienza variano la grana ed i sapori del legno, con relativi riflessi sul vino.
Dopo l’abbattimento i tronchi sono tagliati a spacco e poi stagionati per almeno due anni all’aperto. La successiva lavorazione prevede la sagomatura e la curvatura delle doghe (che avviene a vapore o a fuoco), la tosatura e quindi l’assemblaggio finale.
Particolarmente importante e delicata è l’operazione di tostatura. Le doghe in alto sono fissate con alcuni cerchi provvisori, poi si inserisce nella parte interna un braciere: in tal modo il legno viene bruciato superficialmente, con conseguente fissazione delle sostanze aromatiche ed estrattive che saranno poi rilasciate al vino. Intensità e durata della tosatura sono regolate dal bottaio in funzione della richiesta del produttore: si va da due-tre minuti a tempi più lunghi, a seconda della destinazione d’uso delle barriques (di solito quelle usate per i vini bianchi hanno tosature più lunghe).
Una tecnica che va diffondendosi – anch’essa mutuata dalla Francia – è quella che prevede la fermentazione in barriques nuove (soprattutto di bianchi come lo Chardonnay) con l’obiettivo di estrarre sostanze polifenoliche ed aromatiche. In questo caso la cessione dei tannini del legno avviene attraverso un legame colloidale tra questi e la parte proteica dei lieviti, con successiva precipitazione: il prodotto finale, nelle migliori riuscite, è un vino con leggero gusto boisé, ma fine ed equilibrato, poco tannico.