I vini passiti

Quando l’uva raggiunge le sue massime dimensioni ed il più alto tenore zuccherino comincia la fase della sovramaturazione, gli acini perdono acqua, gli zuccheri si concentrano e l’acidità diminuisce. È il processo dell’appassimento, che dà origine alle uve che serviranno per la vinificazione dei vini passiti o da meditazione. Si tratta di una tipologia di tradizione antica, che in questi anni sta conoscendo una fase di riscoperta un po’ in tutto il mondo.

Le tecniche produttive presentano varianti a seconda delle regioni. In alcuni casi i grappoli sono fratti appassire sul ceppo, a volte dopo la torsione del peduncolo. Più spesso, una volta vendemmiati, sono esposti al sole, oppure messi al riparo in locali aerati, appesi al soffitto, o disposti si stuoie, graticci, in cassette, su tavole cosparse di paglia per consentire una costante aerazione degli acini (da cui il nome di vins de paille che i francesi danno ai passiti).
Le uve rimangono in queste condizioni per diversi mesi: in alcune zone fino a novembre-dicembre, in altre fino a febbraio-marzo. Nel corso del processo di appassimento, 100 chili di uva fresca si saranno ridotti a non più di 25-30 chili di mosto, ad alto tenore zuccherino. La fermentazione si protrae molto lentamente per diversi mesi.
La svinatura ha luogo quando il contenuto in alcol ha raggiunto il 7-8%: il vino è quindi travasato in botti che, per consentire l’uscita del gas carbonico, non saranno chiuse ermeticamente prima di un anno. A questo punto ha inizio il periodo di affinamento, che durerà almeno due o tre anni. Avremo alla fine vini ricchi di zucchero residuo (7-8 grammi per litro), con non meno di 13 gradi alcolici.

Una tipologia particolare e particolarmente apprezzata di passiti è costituita da quella ottenuta da uve sovramaturate con l’intervento del marciume nobile (botrytis cinerea), la muffa grigia che attacca e metabolizza la boccia dell’uva, conferendo al vino sentori del tutto particolari. Per ottenerla sono necessarie, oltre che varietà adatte, con buccia piuttosto spessa e resistente (ad esempio Sémillon, Chenin, Sauvignon), condizioni climatiche particolari, caratterizzate da un’alternanza di umidità, che permette al fungo di svilupparsi, e di sole, che favorisce la concentrazione dell’acino attaccato: solo le valli dei fiumi le favoriscono (nel caso del Suternais, quelle della Garonna e del Ciron). Quando le uve sono ben mature gli acini sono dapprima “infavati” (appaiono allora ancora gonfi, con buccia liscia, ma di colore bruno), poi avvizziscono, diventano rugosi e coperti di fiocchi grigi. In questo modo la botrytis induce un arricchimento degli zuccheri, attacca l’acido tartarico e secerne alcune sostanze che conferiscono ai vini il loro aroma singolare.

La tipologia dei vini da meditazione ha regalato alla storia del vino alcuni dei suoi miti più consolidati. Il Sauternes francese, il più famoso fra i vini botritizzati; il Tokaji ungherese, ambito dalle corti europee fin dal Settecento; l’Eiswein austriaco e tedesco, da uve vendemmiate in novembre o dicembre, con temperature che toccano i 20 gradi sottozero. E poi altri vini rari e leggendari, come il Constantia del Capo di Buona Speranza o il Commandaria cipriota, il vino dei templari, ancora oggi prodotto seguendo tecniche antichissime. Sempre in Francia, accanto al Sauternes, troviamo Barsac e Cérons, prodotti nella stessa regione, e i bianchi liquorosi dei Coteaux du Layon, nella valle della Loira. Questa tipologia ha grande tradizione anche in Crimea. Sulle sponde del Mar Nero.
In Italia, un po’ tutte le regioni hanno i loro passiti. Nel nord, ricordiamo il valdostano Muscat de Chambave, il Passito di Caluso, da uve erbaluce, il Picolit del Friuli, lo Sciachetrà ligure, il Recioto del Veneto, i moscati passiti piemontesi, il Vino Santo trentino, da uve nosiola. Molto noto è il Vin Santo toscano, ottenuto da uve trebbiano, Malvasia e Canaiolo; la Malvasia delle Lipari è il Moscato di Pantelleria – che derivano da uve zibibbo – sono veri fiori all’occhiello dell’enologia meridionale.