In Cina è boom, vino italiano con +39% vendite

Nel 2016, l’Italia ha messo a segno in Cina la crescita a valore più elevata di tutti i principali competitor, arrivando ad un +39% nel segmento dei vini fermi imbottigliati che, nel mercato in questione rappresentano quasi il 93% delle importazioni totali. Una performance di tutto rispetto considerando la media del totale di categoria (+17%) e quelle dei diretti concorrenti come Spagna (+27%), Australia e Cile (24%) o del leader di mercato (Francia, +12%). Ad affermarlo è uno studio effettuato da Wine Monitor Nomisma sull’import di vino nei cosiddetti Bric, i paesi emergenti che comprendono Brasile, Russia, India e Cina.

L’exploit italiano traina le vendite in Cina che ha messo a segno nel 2016 una crescita generale nei valori di import superiore al 16% rispetto all’anno precedente. Al contrario, la Russia appare ancora sofferente viaggiando sul filo dell’”invarianza” (o poco sotto) mentre il Brasile ha chiuso l’anno appena terminato con un leggero segno negativo a valore (-3%) ma in crescita sul fronte dei volumi (+12%), alla luce di un calo nelle importazioni di vini di fascia premium (in particolare lo Champagne, il cui import è diminuito di oltre il 40% in quantità solo nell’ultimo anno, ma quasi del 70% rispetto a cinque anni fa). Completa il quadro l’India che continua a rimanere un mercato «marginale», con meno di 20 milioni di euro di vino importato (a cui corrispondono poco più di 41 mila ettolitri).

Complessivamente parlando, le prospettive per i Bric per l’anno appena iniziato dovrebbero però essere positive. Il recupero (o l’ulteriore crescita) nell’import di vino potrebbero trovare supporto in un quadro macroeconomico più favorevole a sua volta legato ad una ripresa nei prezzi delle commodity (petrolio ma anche minerali e derrate agricole) e ad un rafforzamento delle valute nazionali. Come per il resto del pianeta però, anche sui paesi emergenti aleggia l’imprevedibilità delle politiche che Trump avvierà nei prossimi mesi e dalle quali discende necessariamente un potenziale rafforzamento del dollaro e un “rischio protezionismo”, eventi che giocherebbero a sfavore di questo possibile recupero.

Fonte: Coldiretti